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Brain-on-a-chip as a preclinical model tool for the screening of theranostic nanoformulations for neurodegenerative diseases

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Il cervello su chip come strumento di modello preclinico

Creando un modello della barriera emato-encefalica, un gruppo di ricerca spera di aprire la strada allo sviluppo di nuovi farmaci contro la demenza.

La demenza, termine che raccoglie numerosi disturbi legati a un declino delle funzioni cerebrali, colpisce circa 10 milioni di persone solo in Europa, un numero che secondo le previsioni raddoppierà entro il 2030. Nonostante la ricerca prosegua da decenni, non si è ancora riusciti a individuare un trattamento efficace contro queste malattie. «La complessità del cervello rende estremamente difficile prevedere e trovare nuove soluzioni mediche», afferma Manuel Bañobre, ricercatore dell’International Iberian Nanotechnology Laboratory(si apre in una nuova finestra). Per questo motivo, la coltura cellulare 2D e i modelli animali sono diventati lo standard di riferimento per lo sviluppo e la ricerca sui farmaci. Tuttavia, oltre a comportare dubbi di natura etica, questi modelli non possono imitare perfettamente le impostazioni fisiologiche e la complessità del cervello. Per colmare questa lacuna tecnologica sono stati sviluppati i dispositivi «cervello su chip» (BoC, Brain-on-a-Chip). «Disaccoppiando il cervello in varie strutture cellulari, pur mantenendone le interconnessioni, i dispositivi BoC offrono uno strumento promettente e di facile utilizzo per realizzare modelli preclinici», aggiunge Bañobre. Il progetto BrainChip4MED, finanziato dall’UE, contribuisce a sfruttare questa promettente capacità.

Modellare la barriera emato-encefalica

Il progetto, che ha ricevuto il sostegno del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie(si apre in una nuova finestra) (MSCA), ha concentrato l’attenzione sulla modellazione della barriera emato-encefalica (BEE). «La BEE si è evoluta come un sistema di protezione supplementare dei vasi sanguigni. È una sorta di guardiano che impedisce alle tossine e ad altre sostanze nocive di raggiungere il cervello», spiega Raquel Rodrigues, ricercatrice MSCA del progetto. Come osserva Bañobre, l’efficacia della BEE dipende dalla conformazione fisiologica delle cellule endoteliali vascolari. Grazie a giunzioni strette e adesive, si crea una barriera semipermeabile senza fenestrature che limita la libera diffusione e il rapido scambio di molecole tra il sangue e il cervello. «Questa BEE protettiva rappresenta anche uno degli ostacoli principali alla creazione di farmaci efficaci che possano attraversarla e bersagliare le cellule cerebrali», osserva Bañobre, che ha coordinato il progetto.

Sviluppi nello stato dell’arte nei modelli di barriera emato-encefalica

Per ovviare a questo problema, l’équipe di ricerca ha sviluppato una bio-membrana innovativa basata sulla matrice extracellulare nativa del cervello. Per farlo, è stata usata una nuova membrana pro-angiogenica a base di gelatina, in grado di caricare e rilasciare i fattori di crescita necessari per promuovere la vascolarizzazione neuronale. Il risultato è una bio-membrana che imita fedelmente le proprietà meccaniche, l’idratazione e i segnali di adesione del cervello. Tale lavoro è sfociato in un metodo semplice, rapido e non tossico per produrre una bio-membrana accurata della BEE, in grado di sostenere e generare le condizioni ideali per la diffusione, l’adesione e la formazione di giunzioni strette delle cellule endoteliali vascolari per diversi giorni. «Si tratta di un progresso significativo dell’attuale stato dell’arte dello sviluppo di modelli di BEE», osserva Bañobre.

Grandi progressi verso un’assistenza sanitaria migliore per tutti

In definitiva, il progetto è riuscito a progettare una piattaforma nanomedica che consente lo screening di formulazioni rilevanti per la somministrazione terapeutica di farmaci al cervello. Inoltre, ha sviluppato una nuova strategia di biorilevamento ottico per monitorare i segni distintivi della malattia di Alzheimer durante gli studi preclinici. «È un primo passo importante verso la realizzazione di uno strumento preclinico che potrebbe aiutare la prognosi e contribuire a prendere decisioni terapeutiche più efficaci in merito alla somministrazione di farmaci o altri sistemi nanoterapeutici per le malattie neurodegenerative, garantendo un’assistenza sanitaria migliore e un grado di benessere maggiore per tutti», conclude Rodrigues. La ricercatrice sta proseguendo il lavoro per sviluppare il prototipo BrainChip4MED, con particolare attenzione all’integrazione di sistemi di biorilevamento per lo screening continuo e in tempo reale di farmaci, e allo sviluppo di nanovettori farmacologici per le malattie neurodegenerative.

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