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Le proteine diventano protagoniste della ricerca sugli antichi parenti degli esseri umani

Gli scienziati analizzano le proteine dello smalto dei denti appartenenti ad antichi ominidi vissuti 2 milioni di anni fa, rivelando la variabilità genetica e di genere.

Quando si tratta di studiare fossili risalenti a 2 milioni di anni fa ritrovati in zone africane caratterizzate da climi caldi e secchi, l’analisi del DNA non è la soluzione ideale: la semplicità della sua struttura, infatti, non gli permette di sopravvivere intatto così a lungo in tali condizioni. Poiché le attuali tecnologie per il DNA antico sono state in grado di rivelare sequenze genetiche solo fino a circa 200 000 anni fa, un recente studio(si apre in una nuova finestra) finanziato dall’UE si è concentrato sulle proteine per svelare i segreti di un antico parente degli esseri umani, chiamato Paranthropus robustus. P. robustus è una specie di ominide del primo Pleistocene che si ritiene sia vissuto nell’Africa meridionale in un periodo compreso tra 2 e 1 milione di anni fa. Sebbene ben documentata come specie, era ancora priva di prove genetiche, una carenza a cui un gruppo di ricerca internazionale ha cercato di porre rimedio avvalendosi del sostegno di sei progetti finanziati dall’UE: PUSHH(si apre in una nuova finestra), ApeGenomeDiversity, TEMPERA(si apre in una nuova finestra), BACKWARD, STAMP e COREX. Nel loro studio, i ricercatori hanno analizzato le sequenze di proteine conservate nello smalto dei denti fossili al fine di incrementare le conoscenze su questi antichi ominidi, scoperti per la prima volta in Sudafrica nel 1938. Il team ha analizzato le proteine antiche estratte dallo smalto dei denti di quattro fossili di P. robustus risalenti a 2 milioni di anni fa, provenienti dalla grotta di Swartkrans, nella cosiddetta culla dell’umanità del Sudafrica. «Fortunatamente, le proteine vecchie di milioni di anni si conservano in maniera adeguata perché si attaccano ai denti e alle ossa e non vengono influenzate dal clima caldo», scrivono alcuni autori dello studio in un articolo(si apre in una nuova finestra) pubblicato su «The Conversation». «Una di queste proteine rivela il sesso biologico dei fossili: grazie a tale indicazione, abbiamo scoperto che due individui erano maschi e due femmine.»

Tracciare i modelli di diversità

L’analisi delle proteine ha svelato inoltre alcune differenze genetiche, oltre al fatto che due degli individui condividevano un amminoacido con gli esseri umani moderni e primitivi, gli scimpanzé e i gorilla. «Gli altri due erano corredati da un amninoacido che, tra le grandi scimmie africane, finora è unico per il Paranthropus», riferiscono gli scienziati. È interessante notare che in un ominide erano presenti addirittura entrambi gli amminoacidi: è la prima volta che due versioni diverse di un gene sono state documentate in proteine risalenti a 2 milioni di anni fa. Sebbene si ritenga che le mutazioni proteiche indichino specie diverse, gli autori sono stati sorpresi di trovare una mutazione proteica variabile all’interno della specie P. robustus: alcuni individui infatti la possedevano e altri no. «Ci siamo resi conto che, invece di osservare una singola specie variabile, potremmo trovarci di fronte a un complesso enigma evolutivo di individui con ascendenze diverse», concludono gli scienziati. Utilizzando approcci proteomici, lo studio sostenuto da PUSHH (Palaeoproteomics to Unleash Studies on Human History), ApeGenomeDiversity (Great ape genome variation now and then: current diversity and genomic relics of extinct primates), TEMPERA (Teaching Emerging Methods in Palaeoproteomics for the European Research Area), BACKWARD (Overcoming the frontiers of biomolecular studies on human history and adaptation using palaeoproteomics), STAMP (Spatiotemporal Analytical Modelling for Paleobiology) e COREX (From correlations to explanations: towards a new European prehistory) ha identificato sia il genere degli individui antichi sia i modelli di diversità che indicano l’esistenza di più popolazioni. L’uso combinato di dati morfologici e molecolari funge da modello di riferimento per la ricerca futura. Per maggiori informazioni, consultare: sito web del progetto PUSHH(si apre in una nuova finestra) progetto ApeGenomeDiversity sito web del progetto TEMPERA(si apre in una nuova finestra) BACKWARD STAMP COREX

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